TRISUNGO – ARQUATA – FORCA CANAPINE – CASTELLUCCIO – TRISUNGO >>>> 59,8 chilometri
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(il seguente itinerario è tratto dal sito http://www.picenobike.it/)
Si può affrontare una fatica così grande per un secondo d’estasi. Si può sfidare la montagna,
dopo aver ripercorso il cammino dei romani sull’Antica Via Salaria, semplicemente pensando
al momento in cui lo sguardo varcherà l’ultimo colle e spazierà nel vuoto e nel silenzio del Pian
Grande. In quel momento, le gambe smetteranno di fare male e trattenere il fiato sarà un riflesso
naturale. L’erba verde come un mare in bonaccia. Le cime dai contorni dolci e insieme severi. La
fioritura azzurra della lenticchia e quella rossa dei papaveri. I cavalli sciolti. Il senso della libertà
ritrovata ed effimera. Il pensiero al caos della città e poi la discesa che è come una lunga planata
e quella voglia istintiva di sollevare le mani dal manubrio e allargarle come a voler prendere il
volo. Si può affrontare una fatica così grande per un secondo d’estasi, ma su queste strade non c’è
metro di strada che non vada goduto. È il tappone sibillino, merita rispetto, richiede una buona
preparazione, ma promette di essere indimenticabile.
DISLIVELLO 2.787 metri
TOTALE CHILOMETRI SALITA 31,53
LUNGHEZZA 59,8 chilometri
TOTALE CHILOMETRI DISCESA 23,13
INDICE DIFFICOLTÀ elevato
RAPPORTI SUGGERITI 39-53/12-25
PERCORRIBILITÀ Da aprile a novembre
Trisungo è il giusto punto di avvio, sulla via Salaria, a 36 chilometri da Ascoli Piceno. Si
affronteranno circa 60 chilometri su e giù dalle montagne più belle del Piceno. Ma sconfineremo
anche in Umbria e sarà come precipitare in un mondo un po’ antico e un po’ mitologico,
ma certamente selvaggio, che pochi si aspettano di trovare in quest’angolo d’Italia. Per i più
determinati, la partenza si può invece prevedere all’uscita occidentale di Ascoli Piceno, ma in
questo caso la distanza salirà a 110 chilometri e prima del punto di avvio, ci sarà da lasciarsi alle
spalle un paio di salitelle da non sottovalutare. La prima, nel tratto parallelo alla galleria dopo
Favalanciata: il divieto d’accesso sulla sinistra dell’entrata nel tunnel non ci spaventi. Occhi
aperti e svolta secca sulla sinistra. La seconda porterà invece al bivio per Peracchia, poco prima
di Trisungo: la larga sede della Salaria non tragga in inganno. La pendenza è sensibile e sarà bene
non… snobbarla con rapporti troppo lunghi.
Da Trisungo la strada sale subito in modo deciso, con il castello di Arquata come riferimento. Del
paesino, arroccato su uno spuntone ai piedi del monte Vettore, si hanno tracce antichissime quanto
incerte: si pensa infatti che sia stato fondato dal folto nucleo di Sabini che tra il decimo e il sesto
secolo avanti Cristo si spinsero nel Piceno e si stabilirono proprio in questa zona per tenere fede a
un voto sacro. Oggetto di lotte tra Norcia e Ascoli, la rocca passò poi ai norcini nel 1492. Dal 1420
al 1435 vi aveva soggiornato Giovanna d’Angiò (regina del regno di Napoli), nel periodo in cui
proprio qui passava il confine settentrionale del Regno di Napoli. La vecchia Salaria costeggia le
mura della rocca e prosegue pertanto in direzione di Pescara del Tronto, che dista 4 chilometri, ben
nota agli ascolani per la sorgente che alimenta l’omonimo acquedotto. L’acqua si può assaggiare
riempiendo la borraccia alla tipica fontana dalle sei cannelle, mentre un rapido giro nel paese farà
scoprire la chiesa di Santa Croce e viuzze di casette ormai abbandonate, ma ricche di ballatoi e
balconcini, portali del 500 con architravi di grifoni e stipiti serrati da chiavistelli di ferro battuto
a forma di foglia, corna di bue o serpente. Dopo 4,5 chilometri, passato l’abitato di Capodacqua
a quota 832, la salita inizia a farsi… interessante. Inizia tutto da un tornante: basta svoltarlo e la
via subito s’impenna e rimarrà con una pendenza pressoché costante fino ai 1.457 metri di Forca
Canapine, con l’attraversamento della strada nuova al chilometro 13 a quota 951. L’arrivo a Forca
Canapine è preceduto da tornanti e rettilinei aggrappati al ciglio della montagna, da cui, guardando
a valle, si ha la sensazione del baratro.
Ombra e acqua neppure a parlarne, visto che l’unica fontana che si trova sulla sinistra all’imbocco
del tornante al chilometro 16,5 (da Trisungo), è da tempo prosciugata.
All’avvicinarsi al passo la vegetazione cambia e il faggio lascia il posto al pino e all’abete, poi,
quando si arriva proprio in cima, resta soltanto l’erba bassa di montagna. Di là la vista si apre sulla
piana di Norcia, mentre la discesa inizia subito rapida verso il bivio per Castelluccio, posto al
chilometro 26,3. La salita attacca subito, tanto vale approfittare dello slancio…
Il risveglio è brusco. In due chilometri si passa da quota 1.392 a 1.509, con gli ultimi duecento
metri (quelli dopo il rifugio Perugia) che strappano e fanno male. Ma il panorama dalla cima della
Forca di Santa Croce vale più di mille fatiche. Velluto verde. Silenzio. Vento. Azzurro. Un senso
di esistenza del divino che ti prende le viscere. Sei da solo con il tuo creatore nel posto più bello
che possa esserci. Canali detti “inghiottitoi” in cui l’acqua sparisce per riempire immense caverne
sotterranee. Chiazze d’azzurro. Lenticchie. Papaveri. Il giallo delle margherite e quello più sbiadito
del fieno. Cavalli. Muli. Se non fosse Italia, sarebbe Arizona. Allora scendi in picchiata senza
sfiorare i pedali, ma aggrappandoti ai freni che si scaldano. E quando sei in fondo, agli ultimi metri
di discesa, ti alzi sul manubrio e allarghi le braccia come per volare e abbracciare il mondo intero
e la planata è dolce e infinita. Le gambe sono stanche e la parentesi lirica permette loro di riposare,
mentre si pedala nell’unica strada asfaltata che solca il Pian Grande verso Castelluccio a 1.288 metri
di quota. Il paese invece sorge a quota 1.417 (37,5 chilometri dalla partenza da Trisungo) e ci si
arriva dopo una breve ma rispettabile scalata di un chilometro e 700 metri. La piazzetta in cima è un
festival di folklore, gastronomia e scritte sui muri.
Comparvero misteriosamente all’inizio degli anni Sessanta. I contadini si svegliarono in un’alba
d’estate e trovarono le facciate delle case piene di parole scritte con la calce, ma di difficile
comprensione. In un baleno tutto il paese si riversò nella strada. Si concordò sul fatto che le scritte
si riferissero a screzi occorsi giorni prima tra due fidanzati, i cui genitori, tuttavia, sentendosi offesi,
sporsero denuncia contro ignoti. Da quel giorno, l’usanza di scrivere sui muri è andata avanti fino ai
nostri giorni, cambiando argomento e buttandosi comunque sulla satira e fatti realmente avvenuti.
Il tempo di ristorarsi, bere e rilassarsi un po’, poi è d’obbligo tornare indietro fino al Pian Grande
(se si proseguisse sulla stessa strada, invece, si finirebbe nella zona di Visso) e svoltare in direzione
di Ascoli Piceno. La statale prende subito a salire giusto ai piedi del Vettore e dai 1.306 metri del
bivio sale ai 1.532 di Forca di Presta, ultima salita di giornata. I primi 3 chilometri avanzano in
modo graduale, con lo sguardo che può così spaziare verso il Pian Piccolo e il Pian Perduto. Poi, dal
chilometro 43,72 alla vetta, cioè per tutti gli ultimi 2 chilometri, la pendenza si fa più severa e negli
ultimi 800 metri passa dal 7 al 10 per cento.
Dal valico, tra gli escursionisti che a piedi prendono la via del Vettore, lo scenario ricorda un po’
quello roccioso delle Casse Deserte dell’Izoard, sulle Alpi francesi. Poi la discesa velocissima
(occhi aperti) ci porterà su Pretare e da qui a Piè di Lama, Borgo d’Arquata e Trisungo. I “pigroni”
potranno tirare i remi in barca dopo 59,8 chilometri. I “duri” ne avranno ancora 32 fino ad Ascoli.
Poi anche loro potranno tirare il fiato…